Il più grande deserto del mondo è…bianco e freddo!

Mettere piede per la prima volta in una terra inesplorata, provoca sempre una certa emozione; se poi si tratta di una terra lontana, non raggiungibile per la maggior parte dell’umanità, l’ultima, in termini cronologici, ad essere esplorata, e che ancor oggi rappresenta una sfida per l’essere umano, allora l’emozione si raddoppia, si triplica. L’Antartide, noto anche come Polo sud, è uno di quei punti del mappamondo meno visibili, lontano da tutto, anche dai sogni.

Quanti di noi sono stati affascinati, da piccoli, dai racconti avventurosi sulla conquista del Polo nord, delle imprese di Umberto Nobile e dei suoi dirigibili, la famosa “tenda rossa”: sembrava un posto “mitico”, quasi irraggiungibile. Del Polo sud, soprattutto in Italia, poche notizie, quasi si trattasse di un altro pianeta. Eppure, proprio nel febbraio 2002, è trascorso un secolo dallo “sbarco” su questo continente di un famoso e intrepido esploratore: il capitano della marina reale inglese S.F. Scott, che proprio qui, dieci anni dopo,1912, morì congelato insieme al suo equipaggio, dopo aver perso la sua gara personale con l’esploratore norvegese Amundsen nel raggiungimento del polo sud geografico. Ancora oggi, tuttavia, di questo immenso deserto bianco, molti sanno poco o niente, se non che risulta essere la terra più inospitale, fredda ed isolata del nostro pianeta.

Un pò di Storia

“…Se fossimo vissuti, ne avrei avute di cose da raccontare, che avrebbero toccato il cuore di ogni inglese”

Sono queste le ultime parole che sir Robert Falcon Scott scrive, consapevole ormai della prossima fine, sul suo diario ritrovato accanto al suo corpo senza vita il 12 Novembre 1912, da parte della spedizione di soccorso. Era la tragica fine di una sfida, anzi di una doppia sfida, perse entrambe: quella contro l’eploratore norvegese Roald Amundsen, per il raggiungimento del polo geografico, e quella contro i ghiacci antartici. Ma i due esploratori non furono i primi in assoluto ad aver raggiunto l’immenso continente bianco, sebbene nel 1901, nella prima spedizione di Scott, l’Antartide era più sconosciuto di quanto non lo fosse la Luna prima dell’allunaggio del 1969.

Nel XV secolo si ipotizzava l’esistenza di un continente a sud, collegato alle estreme coste meridionali dell’Africa e del Sud America; ma Vasco de Gama prima, e Francis Drake dopo, fornirono la prova della sua inesistenza. Ma la convinzione dell’esistenza di una terra più a sud, rimaneva ancora viva in alcuni ambienti. Fu nel 1773 che James Cook attraversò per primo il circolo polare antartico, bloccato poi al 71° di latitudine sud, da un’impenetrabile barriera di ghiaccio. Bisogna aspettare il 1819 perché qualcun altro si avventurasse a quelle latitudini. Fu William Smith, nel doppiare Capo Horn, a raggiungere, spinto da una tempesta, le prime isole sub antartiche, che battezzò Nuove Shetland del Sud, oggi Shetland Australi. In un altro viaggio, sospinto più a sud, sempre da una tempesta, arrivò ad avvistare il profilo della terraferma; aveva intravisto il continente a lungo cercato: era la punta settentrionale della penisola antartica! Da quel momento, i veri esploratori dell’Antartide furono i cacciatori inglesi di foche, quali James Weddell e John Balleny, attratti da quei mari per l’abbondanza di prede. Nel 1820 Thaddeus von Bellingshausen fu il primo a scorgere il profilo del continente antartico con una spedizione finanziata dallo zar di Russia Alessandro I. Tra il 1837 e il 1839 ci furono 3 spedizioni contemporanee per la ricerca del polo sud magnetico: quella americana di Charles Wilkes, quella francese di Dumont d’Urville, e quella inglese Clark Ross, che già per primo aveva raggiunto il polo nord magnetico. Dumont d’Urville era un ufficiale della marina francese, salpato da Tolone con due corvette, l’Astrolabe e la Zelee e, dopo anni di navigazione, sbarcò nel 1840 su una piccola isola rocciosa prossima alla terraferma e sede di una colonia di pinguini Adelie; quell’isola è sede oggi della base francese.

sir James Clark Ross

Due anni più tardi, Ross, con le sue due navi, l’Erebus e il Terror, arriva ad avvistare la terra antartica, proprio quella porzione di continente dove oggi si ritrova ad operare il contingente italiano ed americano. Inizia a battezzare territori e monti: il primo maestoso capo , al visconte Adare, il primo grande vulcano incontrato, al ministro Melbourne, e dedicò tutte quelle terre alla giovane regina d’Inghilterra, Vittoria. Arrivò il 28 gennaio del 1841 all’isola che oggi porta il suo nome, dove regnavano maestosi due vulcani, uno attivo l’altro no, ai quali diede il nome delle sue due navi (rispettivamente Erebus e Terror). Al tratto di mare protetto dai venti dell’isola di Ross, diede il nome del tenente di vascello della Terror, Archibald McMurdo (sede attuale della base americana). Ross se ne andò definitivamente nel febbraio del 1843, dopo essersi portato più a sud di tutti i suoi predecessori: 78°10′ di latitudine. Oltre non riuscì ad andare, ostacolato dalla massiccia presenza dei ghiacci eterni; l’unica via  per penetrare all’interno del continente era sbarcare sul ghiaccio, impresa rischiosa e poco allettante.

Passarono 50 anni prima di un’altra spedizione nel continente che gli americani chiamano “THE ICE”: nel gennaio del 1895 un norvegese, Borchgrevinck, con i suoi compagni, effettuarono il primo sbarco in Antartide, scendendo a terra in prossimità di capo Adare. Sempre con una spedizione da lui organizzata, nel 1899 furono lasciati i primi uomini (10) a svernare su quel continente. A gennaio del 1900 tale spedizione fu spinta ancora più a sud, sull’isola di Ross; Borchgrevinck, con delle slitte, raggiunse i 78°50′ di latitudine, il punto più avanzato toccato dall’uomo. Era ripresa la corsa al polo sud. Nel periodo 1901-1904 ci furono le prime spedizioni di Scott e del tedesco Eric von Drygalsky. A bordo della nave Discovery, Scott, inseme a Shackleton, raggiunse lo Stretto di McMurdo dove costruì una base in legno dove vi trascorse circa due anni compiendo una serie di traversate in slitta sulla Piattaforma di Ross e nei dintorni di McMurdo al fine di approfondire le conoscenze della zona. Furono raccolti molti dati meteorologici, biologici, geologici e geofisici e toccò il punto più meridionale mai raggiunto da un uomo. Drygalski, con la nave Gauss imprigionata tra i ghiacci della banchisa, eseguì numerose osservazioni meteorologiche con palloni aerostatici e uno studio accurato sulle abitudini di vita di foche e pinguini. Si susseguirono poi altre spedizioni, che oltre ad avere un fine scientifico, avevano il fine di avvicinarsi sempre più al Polo Sud geografico. Nel 1908, Shackleton arrivò a soli 180 Km da tale punto geografico; nel 1909 E.David e D. Mawson, raggiunsero il Polo sud magnetico.

Amundsen vs Scott

Poi, nell’estate australe del 1911-1912, si ha l’ultimo atto di questa corsa al primato: il 14 dicembre del 1912, per primo, il norvegese Amundsen raggiunge il Polo Sud, precedendo di circa un mese l’inglese Scott e 4 suoi uomini(17 gennaio 1912), ma la cui spedizione avrà un tragico epilogo. Sulla via del ritorno perdono la vita Evans e Oates e, a 160 km circa dalla base di partenza e a soli 17 km dalla base di rifornimento “Tonnellata”, perdono la vita lo stesso Scott e gli altri due suoi compagni: Bowers e Wilson.

Interessantissimi da leggere sono i libri su questa corsa al polo sud: “l’ultima spedizione” traduzione integrale del diario di Scott, “la conquista del polo sud” di R. Amundsen, e “The race for the south pole“, di R. Huntford.

Nel 1915, ancora Shackleton, tenta la traversata del continente, dal mare di Weddell al mare di Ross, ma la spedizione finisce sul nascere, scrivendo però un’altra pagina eroica nella scoperta di questo continente. Infatti la sua nave, la Endurance,  rimane bloccata tra i ghiacci di quel mare ma, dopo varie vicissitudini, Shackleton riesce a raggiungere con una scialuppa la Georgia del Sud e organizzare una spedizione di soccorso che porterà in salvo tutto il resto del suo equipaggio (da legger il libro: “Sud, la spedizione dell’Endurance“). Tra il 1928, Wilkins compie il primo volo sul continente antartico, ma è Byrd, nel 1929, che sorvola per primo il Polo Sud. Nel 1935 si ha la prima impronta di donna sul suolo antartico, si tratta della moglie di un capitano norvegese, la signora Caroline Mikkelsen.

Le basi “scientifiche” in Antartide.

Dopodiché le missioni si susseguono con un ritmo sempre più incessante, portando alla installazione delle varie basi da parte di molte nazioni. Tra queste, dal 1985, troviamo anche l’Italia, grazie al Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), istituito con una legge nel giugno dello stesso anno (la n° 284 del 10/6/85).

UNO SGUARDO SUL CONTINENTE BIANCO

L’Antartide, più noto come Polo Sud, è un immenso continente bianco, la cui estensione supera di una volta e mezzo quella del continente europeo, misurando 14 milioni di Kmq. E’ situato nell’emisfero australe, e lo possiamo considerare come un immenso ghiacciaio, poggiato su terraferma e non sull’acqua come invece accade per il polo opposto, l’Artide (o polo Nord). Durante il periodo invernale, l’area di ghiaccio marino che circonda la terraferma è più estesa del continente stesso (in media circa 20 milioni di Kmq).

Essendo completamente circondato dai tre oceani (Indiano, Pacifico e Atlantico), la circolazione sia marina che atmosferica risulta quasi isolata, per cui gli scambi energetici col “mondo esterno” avvengono su scala temporale maggiore, ovvero in maniera più lenta che altrove. Questo “isolamento” lo si comprende meglio se consideriamo che il punto più vicino con altra terraferma dista “appena” 950 Km., ed è il tratto che separa la penisola Antartica dal Sud America; poi dista 2300 Km. dalla Nuova Zelanda, 2500 Km. dall’Australia, 3500 Km. dal Sud Africa. Singolare è la derivazione dei nomi dei due poli, Artide e Antartide: gli antichi, infatti, per individuare il nord, seguivano la stella polare che è la prima stella della costellazione dell’Orsa Minore che in greco è Arktos (Artide). quindi la posizione antipolare rispetto al nord fu indicata come Anti-Arktos, da cui il nome attuale di Antartide. Può essere considerato il 6° continente ed è più esteso dell’Europa, dell’Australia e degli USA.

Di seguito diamo qualche numero:

L’Antartide ha sì il clima più freddo, ma anche il più secco della Terra (più dei vari deserti sparsi lungo le fasce tropicali). Che i poli siano freddi lo si comprende facilmente e dipende soprattutto dalla loro posizione geografica che vede i raggi solari fortemente inclinati rispetto alla verticale ed hanno quindi un minor “potere calorifico”. A questo poi si aggiunge il fatto che sono ricoperti da uno strato di ghiaccio più o meno spesso (più spesso in Antartide, naturalmente) che agisce come un enorme specchio e che quindi riflette verso lo spazio gran parte dei raggi solari che lo colpiscono. L’Antartide poi rispetto all’Artide è soprattutto terraferma, (non solo mare quindi) ricoperta da ghiacci e quindi con un maggior potere dispersivo di calore; ha un’altezza media di 2500 mt. e per questo risulta essere il continente più elevato della Terra (l’Asia, seconda in classifica, ha una media di 900 mt), con rilievi montuosi che superano anche i 4000 mt. Il passaggio dalla stagione estiva a quella invernale, aventi cadenze opposte rispetto a quelle del nostro emisfero, è caratterizzato sia da un aumento delle ore di luce, sia da una variazione sensibile delle temperature, sia da una variazione dell’estensione dei ghiacci marini che passano da un minimo di circa 16 milioni di Kmq, in piena stagione estiva, ad un massimo di circa 32 milioni di Kmq, solitamente osservato in settembre. Nel periodo del disgelo, quindi, si forma una tale massa d’acqua che, essendo più densa e fredda dell’acqua circostante, si inabissa andando ad alimentare le correnti profonde, influendo quindi sulla circolazione generale dell’oceano. Più complicato è il comprendere che l’Antartide sia il “re” dei deserti. Ma come può essere considerato un immenso deserto? In geografia, il deserto è definito come un’area della superficie terrestre quasi o del tutto disabitata, in cui le precipitazioni difficilmente superano i 250 mm/anno e il terreno è prevalentemente arido, con scarsa vegetazione. Quindi se con questo termine indichiamo principalmente quelle località caratterizzate da scarse precipitazioni, allora bisogna sottolineare che al Polo Sud si hanno regimi precipitativi addirittura inferiori a quelli del deserto dei Gobi e del Sahara,  solo che al polo fa più freddo, molto più freddo! Tanto per dare un’idea delle precipitazioni che si hanno in questa parte remota del mondo, il valore medio su tutto il continente si aggira intorno ai 130mm/anno (meno della quantità di pioggia avuta nell’alluvione del Piemonte), con un massimo di 500mm/anno sulla penisola Antartica e un minimo di 30mm/anno sulle zone interne (Plateau). Il clima quindi è essenzialmente secco, ed anche se il valore dell’umidità relativa può superare l’80%, il contenuto di vapore acqueo presente nell’atmosfera è molto basso, rispetto a quello contenuto alle nostre latitudini. Risalta subito un “controsenso” della natura: la più grande riserva d’acqua dolce del mondo è in realtà un grande deserto! Effettivamente l’acqua è presente in enormi quantità, ma sotto forma di ghiaccio e quindi, di fatto, poco disponibile in forma liquida.

il “deserto” antartico e il deserto del Sahara

Abbiamo detto che è anche un continente molto freddo, il più freddo, con temperature estremamente basse sul Plateau nel periodo dell’inverno australe. La temperatura più bassa registrata da una stazione meteo è stata di -89,2 °C, rilevata nella stazione di ricerca russa Vostok il 21 luglio 1983. Ma da dati satellitari gli scienziati nel 2013 annunciarono di aver rilevato nell’altopiano orientale dell’Antartide la temperatura più bassa mai registrata sul nostro pianeta: -93 °C nell’inverno del 2010.Dopoun riesame dei dati meteorologici di quella regione, i ricercatori hanno constatato che le temperature in diversi punti sono scese ulteriormente, addirittura fino a -98 °C. L’analisi dei dati è pubblicata su Geophysical Research Letters.

T medie: estate australe a sin, inverno australe a dx

Se nel quadro della climatologia globale, l’Antartide fa parte della fascia climatica definita polare, nel suo interno, nonostante le generali basse temperature, possiamo distinguere ben 4 regioni climatiche distinte:

  • plateau antartico, caratterizzato da venti deboli, scarse precipitazioni nevose, un cielo prevalentemente sereno e temperature estremamente basse;
  • zona di pendio, dove il plateau tende a degradare, più o meno ripidamente, verso l’oceano, caratterizzato da forti venti catabatici (termine derivante da una parola greca che significa “discendente”), bufere di neve e precipitazioni più abbondanti che nel Plateau; è dove, proprio per l’azione dei venti,  l’effetto windchill  può essere più elevato;
  • fascia costiera, dove le temperature sono più “elevate”, anche il tasso di umidità è maggiore, e risente, soprattutto durante il periodo del disgelo, dell’effetto del mare. Proprio in questo periodo sulla fascia costiera si hanno le maggiori precipitazioni per il contrasto più marcato tra l’aria fredda e secca del plateau e quella più umida e meno fredda del mare. E’ anche la zona che maggiormente risente del passaggio delle perturbazioni che si formano lungo la fascia subpolare. L’azione dei venti catabatici anche in questa zona è sensibile, a volte più intensa che nella zona di pendio, dipendendo molto dalle “vie  di scorrimento”, ovvero dalla morfologia del territorio. La base italiana risente proprio di questo tipo di clima;
  • regione marittima, zona limitata ad una parte della penisola antartica, quella dalla posizione più settentrionale, il cui tempo è fortemente determinato dal passaggio delle perturbazioni circumpolari (quelle che si muovono intorno al continente); le temperature sono più elevate, oltre che per una latitudine superiore, anche per il fatto di essere circondata su 3 lati dal mare, Anche le precipitazioni sono più abbondanti. I venti in questa parte del mondo, tra le più ventose, sono del tutto particolari, intensi, ed influiscono fortemente sulla possibilità di sopravvivenza nel continente bianco. Sappiamo infatti che è elevato il potere di raffreddamento del vento, tanto che il corpo avverte, in presenza di vento, una temperatura differente da quella reale dell’aria: è il noto effetto di windchill, proporzionale, non in maniera lineare, all’intensità del vento stesso. I venti più caratteristici, ed anche i più intensi, sono i cosiddetti venti catabatici, determinati dallo spostamento di masse d’aria più fredde che dal Plateau “scivolano” verso l’oceano, spesso incuneandosi tra i ghiacciai. Sono venti che non di rado raggiungono i 170-180 km/h, superando talvolta tale soglia fino a toccare 230-250Km/h. Tali masse d’aria fredda sono messe in moto sia per spinta dall’alto verso il basso di un intenso flusso stratosferico che le spinge verso i bordi del Plateau, sia per la classica circolazione determinata dalla contrapposizione di zone di alta pressione posizionate sul Plateau con i minimi profondi che, soprattutto nel periodo estivo transitano in prossimità delle coste antartiche. La base italiana (base Zucchelli) si trova sulla costa ed è posta su una zona che risente di tale fenomenologia, avendo nelle sue vicinanze ben tre ghiacciai che fungono da via privilegiata allo scorrimento di tali masse d’aria: il Campbell, il Priestly e il gigantesco Reeves.
La base italiana, MZS, circondata da 3 imponenti ghiacciai: il Reeves, il Priestly e il Campbell

La base italiana MZS (Mario Zucchelli Station)

Inizialmente il nome della base era BTN (Baia Terra Nova) ma è stata rinominata in Stazione Mario Zucchelli (MZS) nel 2005. Questa decisione è stata presa per onorare la memoria dell’ingegnere Mario Zucchelli, che per molti anni ha guidato il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) e che ho avuto l’onore di conoscere e lavorarci insieme. La stazione è posizionata a 74° 41′ 42″ S, 164° 7′ 23″ E, a 17 mt. sopra il livello del mare, su un promontorio che si estende sulla piccola insenatura di Gerlache, parte dell’estesa baia di Terra Nova. Le colline che si ergono poco distanti, le Northern Foothills, fungono da naturale protezione dai venti occidentali, in particolare da quelli catabatici che soffiano violenti dai ghiacciai del Priestley e del Reeves, e che, talvolta, riescono anche a raggiungere la base. Sono due ghiacciai dalle caratteristiche morfologiche differenti; entrambi sfociano nella stessa valle glaciale, la Nansen Ice Sheet, distante solo pochi chilometri dalla base. Il Priestley è una “via di accesso” al Plateau tramite un corridoio stretto (8km) e lungo (90km), che si estende nella direzione SE-NE, mentre il Reeves, più corto ma molto più largo del precedente (largo 15km e lungo 35 km), si sviluppa lungo la direttrice E-W. Ci sono altri due ghiacciai nelle vicinanze che terminano direttamente sul mare: il vicino Campbell (lungo 120 km e largo dai 5 ai 10 km, con un ice tongue sul mare mediamente di 18km, larga 5km e 380 mt di spessore dal livello del mare) e il più lontano, ma immenso Drygalski (largo 23 km, lungo 36km e con un ice tongue di 70 km di lunghezza, 14-24 km di larghezza e circa 300 mt di spessore dal livello del mare).

la base italiana MZS prospicente la Baia Terra Nova nel mare di Rosse. Sullo sfondo il vulcano Campbell.

Proprio di fronte alla base, infine, si erge uno dei vulcani antartici più elevati (circa 27000 mt.), la cui presenza conferisce all’area un aspetto che potrebbe ricordare il golfo di Napoli…in epoca glaciale. In quest’ambiente, come si può intuire, le condizioni meteorologiche sono fondamentali per ogni tipo di attività, siano queste di natura scientifica (prevalentemente svolte con mezzi aerei o marini), che di natura logistica, ed è per questo che sono tenute molto in considerazione. Da questa realtà nasce l’esigenza di un servizio che, oltre a svolgere un ruolo determinante nella pianificazione delle operazioni, assicuri l’assistenza meteorologica necessaria per una efficace e sicura condotta delle stesse.

La base iniziò a essere costruita durante la seconda spedizione italiana in Antartide (1986-1987) e resa operativa durante la quarta spedizione (1988-1989). Negli anni la base si è allargata con moduli aggiuntivi e, a oggi, gli spazi coperti dell’edificio principale e delle unità satelliti ammontano a 7500 m2, dove si trovano alloggi, uffici, locali mensa e per il tempo libero, infermeria e pronto soccorso, laboratori, magazzini e impianti. ltre ai laboratori attrezzati per analisi chimiche, biologiche, geologiche e elettroniche, la stazione Mario Zucchelli dispone anche di una sala calcolo e un acquario. Sono presenti anche un osservatorio astronomico ed altri osservatori permanenti per lo studio del magnetismo terrestre, della ionosfera, dei movimenti sismici, delle maree, dei riferimenti geodetici e delle variabili meteorologiche. Una sala controllo coordina tutte le operazioni in corso, locali e remote.

Ma l’Italia opera anche in un’altra base, quella italo-francese costruita sul plateau e denominata “stazione Concordia”. Si trova sul plateau antartico orientale, nel sito denominato Dome C, un’altura a 3230 m slm, a una distanza di circa 1000 km dalla costa, di oltre 1000 km dalla Stazione italiana Mario Zucchelli e dalla stazione francese Dumont d’Urville, e a 1.670 km dal Polo Sud geografico, coordinate: 75°06’ sud, 123°20’ est. Iniziata a costruire nel 1998 e terminata nel 2004, la stazione Concordia è aperta ininterrottamente dal 2005, anche durante il gelido inverno australe, quando le temperature raggiungono anche i -80°C. E’ un luogo isolato geograficamente, ha un alto spessore di ghiaccio, che supera i 3000 metri e un clima paragonabile a quello del deserto del Sahara, con aria secca e piovosità quasi nulla. Nella stazione italo-francese Concordia è in corso, tra la’ltro, il più grande studio sui cambiamenti climatici, iniziato con il progetto EPICA e proseguito con il progetto Beyond EPICA – Oldest Ice, che mira ad estrarre dalla calotta glaciale antartica il nucleo di ghiaccio più antico della Terra, per studiarlo e ricavarne preziose informazioni sul clima terrestre risalente a oltre 1,5 milioni di anni fa; ad oggi proprio da questo sito è stato estratta una carota di ghiaccio con informazioni climatiche che ci riportano indietro nel tempo a circa 800.000 anni fa.

Dome C è considerato dalla comunità scientifica internazionale un sito strategico per gli studi del clima terrestre, ma anche per gli studi di astronomia e astrofisica, delle scienze della Terra, della biologia e medicina e del telerilevamento.

Andamento delle T dai carotaggi effettuati nei 3 diversi siti riportati.

La Stazione Concordia è costituita da 2 edifici cilindrici uniti da un passaggio coperto. Ogni cilindro, dal diametro di 18,5m e altezza di11m, ha 3 piani, per un totale 250m2 di superficie utile. L’altezza totale dal suolo, o meglio dal ghiaccio, supera i 14m, poiché ogni struttura poggia su 6 grandi piedi di ferro regolabili per compensare le variazioni nello spessore del ghiaccio. Durante l’estate, dai primi giorni di novembre fino alla prima decade di febbraio, ospita fino a 34 tecnici e ricercatori. Poi i “winter over”, un piccolo gruppo di circa 16 persone, rimangono in completo isolamento per nove lunghi mesi, per proseguire le attività durante l’inverno polare. Lasciano la stazione solo all’arrivo della nuova spedizione, a novembre.

la base Concordia in estate a sin e in inverno a dx

La mia esperienza.

Varie vicende, hanno fatto sì che arrivassi in questo immenso continente bianco nelle vesti della figura professionale del meteorologo. Ricordo ancora l’emozione della mia prima volta laggiù: mi sembrava di vivere un sogno. Era il 1998, e finalmente arrivava la notizia da anni attesa: avrei fatto parte del personale militare impiegato nella XIV^ spedizione. In quell’occasione sarei stato brevemente impiegato, solo nel secondo periodo (dicembre-metà gennaio dell’anno successivo), in piena estate australe. E così, in 36 ore, dal fresco di Roma raggiunsi i tepori neozelandesi di Christchurch, (graziosa cittadina neozelandese nominata “porta dell’Antartide” visto che da qui partono i voli che raggiungono l’area del mare di Ross del continente), accolti da una pioggerellina, tipica del clima inglese. Dopo 24 ore di attesa eccomi diretto verso il mio sogno: l’Antartide. Sette  ore di volo sopra l’oceano, con le nubi che coprivano la visuale sottostante. Si passava un punto immaginario, dal suono sinistro ed inquietante: il PNR (Punto del Non Ritorno), in cui l’aereo non sarebbe stato più in grado di rientrare in Nuova Zelanda, e quindi doveva proseguire fino alla meta, qualsiasi fossero le condizioni meteorologiche. Poi, improvvisamente, ecco apparire i primi ghiacciai, le prime montagne: in quel momento credo di aver capito cosa provarono gli astronauti dell’Apollo 11 nell’avvicinarsi alla Luna, anche se, nel mio caso, in maniera più attenuata della loro. Vicino avevo delle persone non nuove a questa esperienza, che mi descrivevano i posti che vedevo. Ma ero come impietrito dalla bellezza del posto, dal candore delle nevi, dalla mancanza, apparente, di una qualsiasi forma di vita, dall’opportunità di mettere piede su un posto in cui nessun altro essere umano, prima di me, avesse calpestato.

Atterraggio sul pack, ovvero mare ghiacciato. Camminavo in mezzo al mare, su una distesa ghiacciata, che fra qualche giorno si sarebbe sgretolata, e la cui profondità raggiungeva i 40 metri e oltre. Una luce accecante, una visibilità al di fuori delle nostre abitudini: posti lontani 40-50 Km sembravano distanti solo pochi chilometri; e pensavo che forse tale limpidezza d’aria non la ebbero neanche i nostri antenati dell’antica Roma. Ma  questa spedizione è stata troppo breve: neanche il tempo di rendermi conto di dove stavo, di capire il meccanismo dei fenomeni meteorologici del posto, che l’esperienza era già terminata. Con spirito diverso, dopo tre anni, ho affrontato la XVII^  spedizione italiana in Antartide che, a dispetto del numero non proprio fortunato, come vuole la tradizione popolare, ha ottenuto importanti risultati scientifici. Questi sono frutto non solo del valore scientifico dei vari gruppi di ricerca, ma anche della capacità di armonizzare, in un equilibrio quasi perfetto, le fatiche di ogni singolo elemento impegnato nella campagna. In questa sinergia di sforzi non va dimenticato l’operato di coloro che indossano la divisa, impegnati sia come guide tra i ghiacci, sia come operatori tra e sotto le acque, sia come controllori del traffico aereo che come previsori del tempo, figura, quest’ultima che, in un ambiente estremo come quello antartico, assume un rilievo particolare, perché è proprio grazie all’affidabilità delle previsioni, che si possono pianificare al meglio le operazioni ed ottenere il maggior numero di risultati positivi, tenendo in considerazione le diverse capacità operative dei mezzi di trasporto utilizzati in Antartide (elicotteri, C130, Twin Otter) e le repentine variazioni del tempo, come anche la rapida rottura del pack dove si costruisce la pista per gli aerei nei primi mesi della spedizione.

Termino questo articolo con alcune foto, alcune personali di un luogo che mi è rimasto nel cuore e, chissà, forse riuscirò a tornarci ancora una volta.

Lascio per la prima volta l’Antartide (1999) dalla base francese di Dumont d’Urville a bordo dell’Astrolabe…da noi rinominata “Gastrolabe”


Commenti

Una risposta a “Il più grande deserto del mondo è…bianco e freddo!”

  1. Avatar Paola Vocca
    Paola Vocca

    Grazie Paolo per aver condiviso con tutti noi il raccolto della tua esperienza… La parte storica e geografica, è densa di spunti interessanti.
    Grazie ancora

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